In un’epoca in cui i mezzi di comunicazione si moltiplicano ad una velocità incredibile, in un periodo storico dove le possibilità di espressione date dalla tanto rivendicata libertà di pensiero consentono a chiunque di dire ciò che vuole, si assiste ad un chiacchiericcio assordante di bocche instancabili che vomitano fiumi di parole incomprensibili nel tentativo estremo di esprimere concetti inesprimibili, compressi in quel limitato spazio di contenimento che di solito si chiama testa.
Il silenzio sembra essere ormai prerogativa obsoleta e in disuso, relegata a quei pochi o meglio rari individui che hanno rinunciato perfino di ascoltare e ora se ne stanno zitti zitti lontano dal vociare incontenuto di coloro che gli stanno intorno. Forse questi silenziosi personaggi hanno scelto di tacere perché stanchi di aver detto tutto. O forse perché hanno rinunciato a voler dire quello che a tutti gli altri non interessa sapere.
O peggio, si sono al fine resi consapevoli che poi tutto questo inarrestabile parlare a nulla serve se nessuno sta a sentire. Si parla per esprimere qualcosa ma quel qual cosa non ha significato perché non nasce dal cuore, né dall’anima e quindi non ha alcun fondamento. Ma esce direttamente dal cervello che spesso è pieno di mille occupazioni, zeppo di futili problemi, farcito di perturbazioni, di ansie, di frettolose imprese, di lunghe e insopportabili attese, di appuntamenti ritardati e falsi incontri, di imprevisti e insopportabili accadimenti. Per non parlare poi dei mille impegni che nel cervello cercano una collocazione, difficile da trovare data la situazione, visto che alla fine in quello spazio ristretto, di quel migliaio di cose ci vogliamo mettere dentro tutto.
Allora parlarne sembra l’unica soluzione. Così lasciamo che la bocca possa essere la via di fuga di qualche problema, la porta di servizio degli impegni, la discarica degli inutili programmi. Si parla a ruota libera per liberare la mente dai pensieri, ma bada bene per pensieri non intendo riflessioni, bensì solo e soltanto le preoccupazioni. Quelle che ti agitano il petto, quelle che non ti fanno riposare mai un momento, quelle che ti svegliano di notte nel tuo letto. E allora c’è chi parla anche di notte, chi parla da solo, chi parla, parla, parla.
E se parlare da solo o insieme a qualcun altro non fa differenza è solo per il fatto che ciò che diciamo, riguarda solamente noi stessi e ciò che facciamo. Lo si sa bene che agli altri poco interessa quello che a noi passa per la testa. Come del resto a noi poco importa di ciò che ci raccontano vicini e conoscenti, amici degli amici, i colleghi e i parenti. Restiamo lì a sentire le loro mille storie, che ci propinano per ore nel loro ininterrotto linguaggio, ma dopo un po’ ci sembra di ascoltare le stesse cose che vorremmo dire.
Ognuno si preoccupa di esprimere se stesso ma poco importa ascoltare cosa gli altri hanno da dire. Quello che abbiamo in mente è più importante di ciò che ci dice chi ci sta davanti. Perciò il nostro bisogno è quello di esternare, prima ancora di quello di capire. Magari tutto questo sarà anche parlare, ma certamente c’è poco da comunicare.
Vi è un altro aspetto della comunicazione, che è quello di dialogare con se stessi. In realtà non era incluso nelle mie considerazioni che sopra ho focalizzato solo sull’incomunicabilità che oggigiorno affligge la gente comune, nonostante abbia molti più mezzi per comunicare. Mi ero soffermato sul fatto che si parla ma non si dialoga perché non c’è scambio di idee. E inoltre prevale la convinzione che le proprie opinioni valgano più di quelle degli altri.
Ciò che invece può essere indicato come parlare con se stessi, ha un aspetto decisamente diverso che non è esattamente comunicare ma stabilire un dialogo con il proprio io interiore. E questo è decisamente un aspetto molto importante che richiederebbe una trattazione a parte.
© Copyright Mariano Serrecchia 2016