THE THUNDERSTORM
Il decollo dall’aeroporto di Singapore era avvenuto in perfetto orario e l’arrivo all’isola di Bali era previsto dopo circa due ore di volo.
Dopo la chiusura delle porte alla fine dell’imbarco aveva sentito i motori accendersi e pian piano l’aeromobile muoversi.
Provava ogni volta una forte emozione dal momento che l’aeromobile staccava le ruote da terra e cominciava ad alzarsi in volo così come emozionante era sempre stata per lui la fase di atterraggio, quando pian piano l’aereo comincia a scendere fino a toccare la pista.
Una volta in quota si era sistemato meglio per trovare una comoda posizione e trascorrere tranquillamente quelle due ore in attesa dell’arrivo.
Aveva dato un’ultima occhiata fuori dal finestrino per vedere i tetti delle case farsi sempre più piccoli e sparire in macchie rossastre assorbite dal verde pian piano più esteso dell’isola, man mano che l’aereo saliva in quota.
Fino a quel momento il viaggio era stato piacevole anche se il piccolo aeromobile sobbalzava di tanto in tanto a ogni minima turbolenza.
Le due hostess, che indossavano come divisa il tradizionale sarong kebaya di batik, erano costrette ad aggrapparsi al carrello portavivande o appoggiarsi agli schienali dei sedili per rimanere in equilibrio mentre a fatica servivano le bevande ai preoccupati passeggeri rincuorandoli sempre con larghi sorrisi.
Giacomo era arrivato a Singapore dall’Italia e aveva trascorso le ultime due settimane per assistere e coordinare, con non poca preoccupazione, lo sbarco al porto di Johor Bahru di uno yacht lussuosissimo da centocinque piedi spedito dal suo paese e acquistato al costo di qualche milione di dollari da un ricco sultano malese, uno dei migliori clienti del cantiere navale per il quale lavorava.
Appena salito a bordo l’hostess l’aveva accolto con un dolce sorriso pieno di gentilezza, come del resto aveva fatto con tutti i passeggeri, e in un attimo aveva dimenticato le ansie che avevano affollato la sua mente fino a quel momento. L’attesa dell’imbarco alla gate, i controlli del passaporto alla polizia di frontiera, il passaggio attraverso il metal detector per la sicurezza, la fila al banco di accettazione passeggeri e bagaglio per il check-in, la banalità delle quattro chiacchiere scambiate con l’autista del taxi che lo aveva portato in aeroporto.
Ora voleva trascorrere in pieno relax qualche tempo a Bali, dove lo aspettava un albergo di lusso con piscina e massaggi e tanta frutta esotica, prima di rientrare in Europa e tornare al suo lavoro.
Si riteneva fortunato ad aver ricevuto quell’incarico dal suo capo perché gli aveva dato la possibilità di tornare in quei posti meravigliosi dove era stato in vacanza molti anni prima.
La sua sorpresa più grande però era stata aver rivisto Singapore molto trasformata rispetto a come l’aveva nei suoi ricordi, invasa da altissimi grattacieli e infinite nuove abitazioni che avevano preso il posto delle tipiche costruzioni originali cinesi, stravolgendo completamente il suo fascino orientale.
La città si era estesa verso nord, in quei luoghi dell’isola una volta occupati dalle piantagioni e ora sostituite da moderni condomini, scuole, università e imponenti centri commerciali, tutti in stile occidentale. Inevitabilmente il traffico di auto era aumentato con l’aumentare della popolazione creando un fremito convulso su tutte le strade che un tempo godevano di un più fluido passaggio di scooters e biciclette, ormai quasi completamente scomparsi dalla circolazione.
Solo in alcune zone erano rimaste le case cinesi originali, in quelle stradine un po’ fuori mano o lungo il canale un tempo navigato dalle giunche, davanti alle quali di rado si potevano vedere vecchi ricurvi su tavoli improvvisati, impegnati in lunghe partite di Majong, o bancarelle ricolme di frutti esotici tra cui il durian dall’aroma intenso e penetrante.
L’aereo continuava a sobbalzare mentre fuori dall’oblò nuvole più dense impedivano allo sguardo ogni distrazione e gocce di pioggia scorrevano lungo il vetro in senso orizzontale. Non era un buon segnale e già pensava che arrivato a Bali l’aspettava cattivo tempo.
Mentre ripercorreva nei pensieri quelle due settimane in giro per quella città che sempre più somigliava alle metropoli occidentali, Giacomo si accomodò meglio nel suo sedile e dopo aver controllato le cinture di sicurezza si costrinse all’unica alternativa; tirò fuori l’in-flight magazine dalla sacca porta riviste del sedile davanti a sé e cominciò a sfogliare.
A meno di venti minuti dall’arrivo il comandante del velivolo bimotore annunciò ai trentacinque passeggeri che per un temporale con forti venti sull’isola di Bali aveva avuto istruzioni dalla torre di controllo di dirottare su un’isoletta poco distante dalla destinazione.
Gli sguardi dei passeggeri s’incrociarono con una certa apprensione mista a smarrimento mentre s’interrogavano su quell’inatteso evento, subito ricollegato ai sobbalzi e ai piccoli vuoti d’aria avvertiti durante il volo.
Molti provarono disappunto immaginando le conseguenze che quell’imprevisto avrebbe inevitabilmente avuto sul loro programma di viaggio, sui loro appuntamenti e le prenotazioni degli alberghi.
Qualcuno sembrò cercare le hostess per avere qualche informazione sporgendosi dal sedile e scorrendo con lo sguardo lungo tutto il corridoio fino alla porta della cabina di pilotaggio, ma delle assistenti di volo nemmeno l’ombra.
Una volta annunciato il cambio di destinazione il comandante aveva dato disposizioni all’equipaggio di prepararsi per l’atterraggio e di prendere posto nei sedili riservati al personale di cabina.
Le spie di avviso di allacciare le cinture si erano accese accompagnate dalla voce del capo cabina che richiamava l’attenzione sul segnale luminoso.
Sui volti era stampato un velo di tensione.
La voce gracchiante dell’annuncio risuonava ancora nelle orecchie degli smarriti passeggeri che rimasero così in apprensione per il resto del viaggio, in attesa di atterrare.
Arrivarono nel piccolo aeroporto di Maydur che stava già calando la sera, con un atterraggio perfetto che aveva risollevato gli animi liberatisi finalmente dall’ansia dopo aver sentito il carrello toccare la pista.
Una volta a terra l’aria calda li avvolse addolcita dall’odore del kerosene bruciato dei motori che cominciavano a diminuire la velocità delle eliche emettendo un sibilo assordante.
Appena sbarcati venne loro incontro una ragazza in divisa che rappresentava la compagnia aerea di quel volo.
Il suo foulard svolazzava al turbinio delle eliche ancora in movimento coprendo a tratti i suoi grandi occhi neri.
Quella bellezza esotica impressionò subito Giacomo, mentre li accoglieva regalandogli un sorriso meraviglioso.
La sua gentilezza e le sue premure nell’incontrarli crearono subito un’atmosfera distesa nel gruppo di passeggeri che già rincuorati di essere finalmente a terra, dimenticarono in fretta le turbolenze del volo e la seguirono verso la sala per il ritiro dei bagagli.
Alcuni le si fecero intorno bersagliandola di domande per chiederle come avrebbero potuto avvisare gli alberghi, le persone che li aspettavano a Bali e quando avrebbero proseguito il viaggio.
Lei tentava di far fronte a quelle richieste cercando di calmare gli animi, in particolare quelli di un gruppetto di ragazzi che nella confusione si preoccupavano che i loro bagagli fossero scaricati con cura. Erano infatti dei surfisti che avevano alcune tavole da surf come bagaglio e poi riconoscibili un po’ dall’abbigliamento sportivo, un po’ dai capelli di quel biondiccio così chiaro da sembrare ossigenato.
Mentre il cielo cominciava a colorarsi di un porpora violaceo, grosse nuvole all’orizzonte pian piano tendevano a scurirsi minacciosamente.