L’aria era carica di umidità e la sera tardava a scendere. Furonia aveva preparato tutto in anticipo avendo cura che ogni cosa fosse pronta per il rientro della sua padrona così da non dover fare troppo lavoro dopo. Aveva la testa che le girava e non si sentiva bene. Gli spasmi al bassoventre erano lancinanti e le sembravano come lame conficcate nelle viscere. Con fatica cercava di resistere a tutto questo nella speranza di poter essere dispensata al più presto dai suoi doveri e di potersi riprendere da quel malessere. Ultimamente le sue mestruazioni si erano fatte più difficili da sopportare e ogni volta, quasi le toglievano le forze. Aspettava di potersi ritirare prima del solito e liberarsi da quella strana nausea che l’accompagnava sin dal mattino.
Nonostante il malessere diffuso, la spossatezza e i dolori lancinanti si era dedicata con la massima cura al suo lavoro e aveva disposto tutto affinché la sua padrona trovasse il maggior ristoro al suo rientro.
L’acqua del bagno era già calda e il profumo di spezie rinfrescanti aveva invaso di fragrante aroma l’aria della stanza. Sul bordo della vasca erano ben allineati i vasetti di vetro con estratti di piante officinali che la sua padrona era solita versare di tanto in tanto durante il bagno. Su uno scalino di marmo ai piedi della vasca erano allineati uno sull’altro i teli di lino profumati e bianchissimi e sul piccolo tavolino rotondo aveva disposto pettini d’osso, specchi di bronzo e ciprie colorate. Approfittò di un attimo in cui l’attesa per la sua padrona si dilungava per prepararsi un infuso di erbe che Depodemo le aveva consigliato per alleviare i dolori in queste evenienze. Poi, con le mani in grembo, si sedette sui gradini in un angolo ombreggiato della scalinata vicino all’ingresso e attese.
I suoi pensieri vagavano lontano e complicate riflessioni si accavallavano nella sua mente confusa; forse se avesse avuto un figlio suo, se avesse partorito, ora non avrebbe avuto questi problemi, questi dolori. Ormai quasi alla soglia dei trent’anni aveva rinunciato all’idea della maternità, anche se aveva avuto modo di vivere questa esperienza in passato. Quando aveva da poco compiuto sedici anni, insieme ad un’altra ancella di alcuni anni più grande di lei, si ritrovò ad accudire una neonata rimasta orfana in circostanze oscure e alla quale si era affezionata come ad una figlia. Nel crescere poi il rapporto si era trasformato quasi come fra due sorelle nonostante la differenza di età. Infatti Eclea, così era stata chiamata quella bambina, riconosceva come madre adottiva più l’ancella maggiore che Furonia pur mantenendo per entrambe un immenso affetto.
Lasciò che una folata di vento caldo le carezzasse il viso mentre sorseggiava la bevanda che pian piano si stava raffreddando. Poi, con l’animo pieno di nostalgia per via di quei pensieri e le mani ancora in grembo, fece un respiro profondo e reclinando un poco il capo poggiò dolcemente la tempia contro la colonna di marmo.
Surilia, la sua padrona, era una donna energica dal carattere deciso, ma sapeva amministrare le sue doti con saggezza e trattava la sua servitù con buona dose di equilibrio. Furonia era contenta di lavorare per lei ed era convinta di avere avuto fortuna nel trovare una padrona così. Il lavoro era duro ma lavorava con piacere sapendo di essere trattata in maniera giusta.Surilia Cotilina ogni terzo giorno della settimana si recava al tempio della dea Vesta per avere la protezione sui suoi affari. Portava offerte alle vestali affinché pregassero la dea in suo favore e non mancava di far tenere accesi i lumini ad olio rabboccandoli di volta in volta con olii profumati. Gli incensi profumavano l’aria; fiori e petali delle rose del suo giardino erano sparsi tutto intorno all’ara. Restava raccolta in preghiera alcuni interminabili minuti, perché nonostante la sua forte devozione, c’erano i suoi molti impegni che l’aspettavano. Al termine della breve funzione si dirigeva al mercato di Stabia per acquistare le mercanzie provenienti dai paesi oltremare. Soprattutto mercanteggiava con i preziosissimi tessuti che arrivavano dall’oriente: sete, broccati, lino e raffinato cotone. Una volta esaminate e catalogate, avrebbe trattenuto quelle da usare per confezionare i lavori commissionati dalle matrone più esigenti delle ricche famiglie romane: tuniche, toghe e stole destinate alla sua selezionata clientela e affidato tutte le altre ad Agerimo, il suo commerciante, che le avrebbe vendute alle varie botteghe della città. La giornata degli acquisti era lunga e faticosa, con quel calesse malridotto che suo marito non decideva mai di cambiare. Per fortuna Furiremo era un abile stalliere e sapeva guidare i ronzini affaticati su e giù per le strade più sconnesse e sassose senza farle soffrire troppi disagi. Superati gli ultimi incroci prima dello slargo che immetteva sulla sua strada, il calesse e il carretto con le mercanzie che lo seguiva dovettero fermarsi un paio di volte sotto il sole cocente per via di alcune pecore che erano sfuggite al loro pastore.
Furiremo gli aveva gridato dietro alcune frasi con voce roca e tono greve per far liberare il passaggio, ma quelle bestie sembravano non volessero saperne di scostarsi.
Poi finalmente, imboccata la via Larga Superiore, il calesse entrò in un arco seguìto dal carretto e il vecchio portone si chiuse alle loro spalle cigolando.Lo scricchiolio delle ruote sul brecciolino si fondeva con il latrare dei cani e con le urla di Furiremo per fermare i cavalli. Furonia, attirata dal fracasso, era corsa fuori ad incontrare la sua padrona e darle il benvenuto.
«Questo caldo estenuante oggi proprio non lo sopporto! »
Esclamò Surilia appoggiandosi alla mano di Furonia che l’aiutava a scendere;
«Sembravano tutti impazziti, come fosse la fine del mondo e non ho mai visto tanta gente accalcarsi così… non immagini che confusione abbiamo incontrato giù allo slargo… neanche fosse la celebrazione delle Portunalia.»
Furonia diede un segno di consenso con la testa che le costò molta fatica.
«Non voglio neanche parlare della moltitudine di calessi che ingombrano le strade qui intorno alla mia casa. Ma cosa sarà mai successo oggi! »
E mentre continuava il suo brontolio corse al riparo del portico ombrato per godere un po’ di frescura. Poi gridò qualcosa verso Furiremo ordinando che le mercanzie venissero scaricate subito nel deposito e che le bestie fossero condotte alle stalle e rifocillate.A fatica Furonia la seguì passo passo offrendole dell’acqua fresca che qualche ancella nel frattempo le aveva portato, poi le disse che il bagno era pronto e la cena sarebbe stata servita in orario.
Scesero entrambe nei locali termali; Surilia si liberò in fretta delle sue vesti accaldate e ripresasi dall’eccitazione, fece un gran sospiro per scaricare la tensione, mentre immergeva il piede nell’acqua aromatizzata della sua vasca.
In un attimo il suo corpo ondeggiava dolcemente beandosi della meritata frescura e di un po’ di rilassatezza. Quando finalmente decise che ne aveva abbastanza si avvicinò al bordo della vasca e, salendo stancamente i pochi gradini, uscì gocciolante per stendersi su una sorta di lettino. Furonia prese a massaggiarla con soffici spugne, fatte venire appositamente da Skiatos, intrise con le varie essenze che attingeva di tanto in tanto dalle bottigliette colorate allineate con ordine al bordo della vasca. Surilia finalmente riacquistò una nuova vitalità grazie ai profumi che le essenze emanavano. Si era accorta che Furonia era più taciturna del solito e intuì che qualcosa non andava. Già dal mattino aveva visto il suo viso un po’ sciupato da grosse borse sotto gli occhi. Era soddisfatta di aver trovato tutto in ordine al suo ritorno e apprezzava che nonostante il malessere Furonia non si fosse lasciata sopraffare, lavorando duro come al solito.
Per questo decise di dispensarla dagli altri lavori ma le chiese un ultimo sacrificio: Furonia sapeva massaggiarla come nessuno e quello era un piacere cui non avrebbe rinunciato. Perciò le ordinò di chiamare una sua ancella per aiutarla in questo lavoro prima di potersi ritirare.
L’ancella si prese cura di Surilia nel pettinare i suoi folti capelli raccogliendoli poi in una piacevole acconciatura arricchita da fermagli d’osso con finiture in oro. La tunica, fresca di bucato, mise in evidenza le sue forme non appena l’ancella le cinse la vita con la cintula in cuoio alla quale fissò un piccolo drappo arancione che, scendendo lungo un fianco, le dava colore e un’aria seducente.
Lucio Antimo arrivò che Surilia aveva appena finito di prepararsi per la cena. Come sempre succede tra fratello e sorella, anche fra loro c’era una sorta di rivalità e se in passato avevano avuto talvolta rapporti tesi, alla fine tutto era tornato alla normalità. Forse era solo un modo diverso di esprimere il loro reciproco affetto. Però in questi ultimi tempi godevano di una sorta d’idillio e Lucio aveva deciso di venire a stare da lei per tutto il tempo che il cognato Svetonio Priore fosse rimasto in Cilicia. In qualche modo, proprio l’assenza di Svetonio aveva convinto Lucio a riavvicinarsi alla sorella con la scusa di tenerle compagnia, sapendo che il cognato sarebbe stato lontano ancora per parecchio tempo.Lucio era un bell’uomo dal fisico atletico e dalla folta barba mescolata ai lunghi capelli ondulati che teneva raccolti da un nastrino rosso intorno alla fronte.
A quasi trent’anni aveva già raccolto parecchie fortune e, come il cognato Svetonio, poteva contare su buoni appoggi politici a Roma. Le sue tenute a sud dei Campi Flegrei erano floride e il commercio dei suoi prodotti si era allargato in varie regioni circostanti. Aveva avuto una breve esperienza in Africa ai tempi delle campagne che l’imperatore Antonio aveva intrapreso per estendere il controllo di Roma sull’Egitto.
Era uomo ricco e piacente e Surilia lo spingeva a un matrimonio che potesse consolidare le sue fortune. Del resto pretendenti ne aveva molte e tutte di ottima famiglia. Avrebbe potuto scegliere tra le tante figlie di qualche influente tribuno di Roma, del quale godeva la stima e l’amicizia.
Si diceva però in giro che Lucio preferiva le bellezze locali alle quali dedicava non più di una notte. E i timori di Surilia erano proprio legati alla possibilità che qualche contadinella più sveglia delle altre potesse fagli perdere la testa e le sarebbe dispiaciuto non poco che una figlia del popolo potesse un giorno entrare a far parte della sua famiglia.
Su questo argomento si erano accese fra loro le più aspre diatribe ed entrambe le parti avevano difeso con fermezza le proprie idee.
Per il momento Lucio sembrava averla spuntata con la sorella, il cui tacito consenso gli consentiva di continuare a frequentare le figlie della plebe che secondo lui, avevano una fresca ingenuità e una bellezza genuina. Le trovava polpose come le pesche delle sue vallate, profumate come le mele delle sue colline, inquiete e scontrose come le sue mucche prima della monta.Lucio ostentava con orgoglio il fascino del bellone e questo infastidiva Surilia che, con non poca gelosia, immaginava sempre il suo adorato fratello fra le braccia di qualche sgualdrinella pronta a dare il meglio di sé in moine e carezze per sedurlo. Del resto non ci voleva molto ad innamorarsi di lui, così attraente in ogni circostanza, con la bellezza dei suoi trent’anni e con la serenità di chi ha già una poderosa tranquillità economica da non doversi preoccupare del domani.
Il suo lavoro lo portava a spostarsi continuamente per curare i suoi interessi e quindi di solito non aveva modo di frequentare la casa della sorella. Ma in questo periodo aveva deciso di approfittare della situazione per riallacciare un po’ i rapporti. Non che fra lui e il cognato Svetonio Priore ci fossero dissapori ma trovava sconveniente alloggiare in quella casa dando l’impressione di volersene approfittare. In questo modo, invece, aveva la scusa di voler fare compagnia alla sorella mentre il marito era lontano.
Una sensibilità questa che Surilia apprezzava con una certa soddisfazione, un po’ offuscata però dal sospetto che Lucio avesse qualche interesse nascosto, giacché la sua casa ospitava una servitù giovane e prevalentemente femminile.
Perciò continuava a tenere sotto controllo ogni sua mossa nella speranza di scoprire se mai ci fosse qualcosa di particolare nei suoi piani segreti.